L'handicap e i problemi comportamentali, psicologici e relazionali ad esso connessi

Ogni bambino o bambina, tanto più se ha problemi o è portatore di handicap, ha un suo modo di rapportarsi al mondo, all’ambiente che lo circonda. Di questo dà sue spiegazioni e elabora sue fantasie tessendo rapporti.; tutti elementi che gli sono indispensabili per trovare una sua strada personale di conoscenza che non può essere predefinita, lineare, ma è fatta di conquiste, di arresti, di pause e riprese (1).

Non possiamo perdere di vista il fatto che non solo il bambino con handicap, ma anche la sua famiglia sono soggetti fragili, provati dalle difficoltà emotive e materiali; sono pertanto necessariamente adattati ad una caratteristica che distingue, forse limita, ma sicuramente orienta, la loro visione del mondo, cioè il loro stile “percettivo reattivo” a prescindere da una intenzionalità.

Indipendentemente dal fatto che abbiamo a che fare con un handicap sensoriale o fisico, mentale e psichico o sociale ( classificazione degli handicap) o rifacendosi ai quadri funzionali sia che ci troviamo di fronte ad un ritardo mentale con deficit delle strutture cognitive, o a deficit e disturbi psicomotori, o ai disturbi del linguaggio in età evolutiva (disturbi di integrazione, strumentali e specifici come quello “specifico di articolazione dell’eloquio - disturbo fonologico isolato”, “del linguaggio espressivo”, “della comprensione del linguaggio - del linguaggio recettivo espressivo”) o ad alterazioni del comportamento e della relazione, o a problemi d’apprendimento(2), certo è che ci troveremo a lavorare con una persona che è quella che è per il costante processo d’interazione che ha con sé stessa, gli altri ed il resto del mondo, anche e soprattutto in relazione alla sua difficoltà: fattori genetici, neurobiologici, esperienze e stimoli ambientali esercitati da figure significative sono senza dubbio correlati.

Fare i conti quotidianamente “con questa “difficoltà”, può significare per l’individuo andare verso uno scompenso delle organizzazioni cognitive.

Organizzarsi significa dare ordine alle conoscenze che si stanno sviluppando in modo che dalla loro interazione risulti un insieme che consenta la sopravvivenza e la crescita di un determinato ecosistema. Il tutto deve avvenire in un equilibrio instabile per rendere possibili i cambiamenti.

Se il carico dei disagi è eccessivo questo può essere un motivo di turbolenza per le differenti organizzazioni, che a volte si evidenzia con la sintomatologia corrispondente all’eventuale scompenso dell’organizzazione al momento preminente (organizzazione fobica, depressiva, di tipo “disturbi alimentari psicogeni”, ossessiva e psicotica) (3).

Va precisato che la differenza fra le diverse organizzazioni cognitive non è mai così netta e che nelle varie fasi di sviluppo s’instaurano modalità di reciprocità che indirizzano la conoscenza in più di una direzione. Sono frequenti organizzazioni miste in cui una modalità prevale solo in parte su un’altra.

Mentre “le organizzazioni più resistenti alle turbolenze sono quelle in cui più tracce della complessità sono state percorse o sono, per lo meno, conosciute e considerate, le più soggette a scompensi, che danno luogo alle così dette nevrosi, sono quelle organizzazioni in cui vincoli assai rigidi non permettono di riconoscere indicazioni che stazionano a livello tacito. Nell’organizzazione psicotica ad esempio, si evidenzia il “disordine di base” perché non è stato possibile ordinarlo secondo modalità più o meno definite. Ne consegue un alternarsi di dogmaticità e di perdita totale di vincoli approssimativi” (4).

Si può quindi concludere che di solito, a prescindere dal tipo di handicap, nei bambini segnalati che incontriamo nella scuola, i disturbi psichiatrici e/o comportamentali sono molto più frequenti rispetto agli altri.

Se in alcuni disturbi, come quelli con “comportamento disturbante”( ad esempio il Disturbo da Deficit dell’Attenzione/Iperattività o il Disturbo Oppositivo-Provocatorio o i Disturbi della Condotta ) o i disturbi d’ansia o quelli ossessivi- compulsivi, i “comportamenti-problema”, i disturbi emotivo-comportamentali e dell’autostima possono coincidere con l’handicap segnalato, in altri, come ad esempio nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (PDD) detti anche Disturbi Generalizzati dello sviluppo, questi sono spesso associati alle problematiche più specifiche dell’handicap.

Ad esempio il disturbo autistico, quello disintegrativo della fanciullezza, la sindrome di Asperger e di Rett, il disturbo generalizzato dello sviluppo NAS ( incluso l’autismo atipico) e gli altri disturbi della fanciullezza o dell’adolescenza (codici DSM IV), sono caratterizzati da compromissione grave e generalizzata in più aree dello sviluppo: l’area dell’interazione sociale, quella della comunicazione, della cognizione e del comportamento.

Nel caso dell’autismo le anomalie possono essere rappresentate più in alcune aree anziché in altre e questo spiegare le diversità sintomatologiche, la varietà di situazioni cliniche che possiamo incontrare (spettro autistico).

Ci troviamo di fronte ad anomalie comportamentali che sono il frutto di anomalie cognitive e neurologiche determinate dalle anomalie strutturali e funzionali del cervello ( disturbo cerebrale complesso) (5). Ciò che però noi vediamo alla fine è sempre un comportamento alterato che nella sua varietà corrisponde ad una maggiore o minore gravità del disturbo autistico.

Allo stesso modo il bambino con epilessia può manifestare disturbi correlati al tipo o sede dell’epilessia, all’età, ai farmaci assunti e al contesto socio-familiare in cui cresce, ma che vanno affrontati come problemi separati. Tenendo presente che in questi soggetti impulsività, aggressività, sintomi nevrotici ansiosi o depressivi possono essere considerati come turbe comportamentali di tipo adattivo e reattivo , fondamentale è, per la loro gestione, l’intervento della comunità familiare e scolastica (la presa in carico pedagogica, psicologica e sociale del bambino con epilessia diventa un elemento essenziale della relazione terapeutica).

E ancora per fare un esempio, i bambini con “disturbo del linguaggio espressivo”, che per quanto siano motivati a comunicare ed integrino la produzione verbale con comunicazioni non verbali( mimica, gestualità), non è raro che soprattutto in età scolare manifestino difficoltà di relazione con i coetanei, disturbi emozionali e della condotta e/o irritabilità e distraibilità..

Il “disturbo della comprensione del linguaggio e del linguaggio recettivo/espressivo”, fra i vari disturbi del linguaggio, sembra quello con un maggior grado di compromissione socio-emotivo-comportamentale: non presenta caratteristiche specifiche quanto una ricorrenza di tratti variamente associati quali l’iperattività, la distraibilità, il senso di inadeguatezza sociale con isolamento, l’ansia, l’ipersensibilità e la timidezza eccessiva.

Nei casi più gravi è ristretta la gamma di interessi e si può assistere alla ripetizione automatica delle parole non comprese, tanto da porre in diagnosi differenziale i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (6).

Per concludere anche nei bambini con deficit cognitivi, associati o meno ad altri handicap, e come nel caso di altri disturbi indipendentemente dall’eziologia, oltre ad esserci un’insufficiente capacità di adattarsi all’ambiente circostante in maniera efficiente ed armoniosa, vivendo in età scolare frequenti frustrazioni, (la scuola a volte tiene poco conto delle individualità, impone differenti situazioni relazionali e usa linguaggi astratti), possono manifestarsi risposte difensive come la depressione o l’iperdipendenza.

Il bambino inizia a realizzare una percezione di sé come incapace ad assolvere alle aspettative del sistema familiare, come eterno sconfitto e a percepire la realtà esterna come minacciosa ed aggressiva. Da una parte cerca di evitare situazioni di valutazione dalle quali non si aspetta che giudizi negativi, dall’altra il contesto sociale finisce con il fargli sempre meno richieste; si rallenta così il processo di identificazione ed introiezione delle norme del gruppo e si complicano le problematiche relative all’immagine di sé ( autostima).

I disturbi dell’umore ( che nell’età dello sviluppo si possono manifestare con agitazione/irritabilità, auto/eteroaggressività, compromissione dell’autonomia personale, pianto, comportamenti infantili, paure,…), come anche quelli psicotici (con stereotipie, auto-eteroaggressività, masturbazione compulsiva, alterazione del pensiero e del linguaggio, deliri,..), del comportamento, d’ansia, da deficit dell’attenzione/iperattività e l’inibizione intellettiva (come limitazione sul piano delle interazioni sociali o su tutti i settori dell’apprendimento), si possono manifestare con sintomi tanto più variabili ed aspecifici quanto più è grave la compromissione intellettiva.

Anche nel ritardo mentale quindi, come per gli altri deficit sopra menzionati, sempre tenendo conto dei presupposti neuro-psichiatrici e fisici e dell’eziologia del disturbo, accanto ad un lavoro riabilitativo e didattico emerge sempre più la necessità di un intervento mirato alla gestione dei sintomi che si osservano in classe e che emergono come “comportamenti problema” complicando le difficoltà che si trova ad affrontare l’insegnante sia a livello psicologico che relazionale.


Note

(1) Mirella Borghi in “Quel bambino là… scuola dell’infanzia, handicap e integrazione “ di Canevaro A., 1996, editore La nuova Italia .

(2) Dal “Manuale diagnostico DSM-IV”(American Psychiatric Association) o “Manuale diagnostico ICD-10”(Organizzazione Mondiale della Sanità), che rappresentano i principali classificatori diagnostici utilizzati in età evolutiva.

(3),(4) vedi in “Sistemi cognitivi complessi e psicoterapia” Reda M.A., 1991, La nuova Italia Scientifica, p.91, 92.

(5) Dalla lezione di Pedagogia e Didattica tenuta dalla prof. Petrillo (Corso per la abilitazione al sostegno SSIS a.a. 2003-2004)

(6) Dalla lezione di Neuropsichiatria tenuta dalla prof. Luchetti (Corso per l’abilitazione al sostegno  SSIS a.a .2003-2004)

PROF.SSA  MALFETTI ANGELITA

www.terapiastrategicasiena.it

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